Charlie Chaplin (aka Sir Charles Spencer Chaplin). È stato un attore, comico, regista, sceneggiatore, compositore e produttore cinematografico britannico, autore di oltre novanta film e tra i più importanti e influenti cineasti del XX secolo. Le sue simpatie politiche non furono da lui mai rivelate esplicitamente.
Si ritiene fosse un progressista, ma non socialista o comunista, oltre che (cosa da lui invece rivelata) un pacifista. Di certo, in molti suoi film aveva analizzato la realtà cupa dei lavoratori, dei poveri e degli emarginati ( Tempi moderni, del 1936, ne può essere un chiaro esempio) ed aveva messo in piena luce le contraddizioni della società statunitense. Benché vivesse negli Stati Uniti da molti anni e vi pagasse le tasse, Chaplin non aveva mai chiesto la cittadinanza statunitense. La condanna decisiva nei suoi confronti arrivò nel settembre del 1952 per “gravi motivi di sfregio della moralità pubblica e per le critiche trasparenti dai suoi film al sistema democratico del Paese che, pure accogliendolo, gli aveva dato celebrità e ricchezza”.
Il 17 aprile 1948 il Servizio immigrazione e naturalizzazione degli Stati Uniti sollecitato dall’FBI, decide di interrogare Charles Spencer Chaplin sulla sua presunta adesione ad organizzazioni e cause comuniste. Gli atti di quell’interrogatorio diventano, in scena, l’occasione per ritagliare la figura dell’omino Charlot con contorni diversi da quelli della sua sagoma più conosciuta. Un dialogo serrato aperto a sospensioni narrative, una ricostruzione immaginaria basata però su dati storici accreditati, una singolare forma di documentario teatrale che attraverso frangenti di vita possibile rivela e ricorda l’anarchismo lirico del più grande “clown“ del Novecento.
NOTE DI REGIA
Avrei problemi a sostenere che si tratti di uno spettacolo teatrale. Potrebbe essere anche cinema. E, perché no, una conferenza … o un comizio. Anzi, meglio, un’indagine giudiziaria o ancora una lezione di anatomia, ma pure un numero di scuola circense e perfino una immaginifica seduta spiritica. Potrebbe essere ogni cosa perché Charlot il comunista racconta i fotogrammi di una vita eccezionale, quella di un buffo omino eccezionale, quella di un artista eccezionale. Racconta di un corpo di dubbia provenienza e di ignota destinazione; continuamente sul margine di un disequilibrio risolto da un riassesto miracoloso ed inatteso. Sempre. Nella vita, sul set e nella storia. Un corpo che si fa capro espiatorio, si fa corpo ribelle, rivoluzionario, politico e poetico.
Questo racconto si svolge in un teatro che è però camera oscura, illusionistica, magica e propone caleidoscopiche visioni da futuribile luna park. Le immagini e le parole diventano evocazione e documento: dettagliano e ipotizzano, divertono e analizzano infine rivelano un profilo elementare e fantastico, dionisiaco e contraddittorio, misero e nobilissimo; ritagliano una sagoma con bombetta e bastoncino, semplice e illuminante; un’icona …
contropotere con un nome (anzi due) ed un cognome: Charles Spencer
Chaplin!!!